IL POSSESSO DI DROGA QUALI RISCHI COMPORTA E QUANDO È REATO
Grazie al referendum abrogativo del 1993 il consumo di sostanze stupefacenti: marijuana, ecstasy, cocaina, eroina non è più reato, permane comunque l’illecito amministrativo che può comportare problemi per la patente (verranno ordinati esami anche tossicologici per valutare la persistenza della idoneità alla guida), il porto d’armi, il permesso di soggiorno, il passaporto (cd. sanzioni amministrative ex art. 75 DPR 309/90).
Come noto, non è escluso che si venga anche arrestati o denunciati a piede libero per spaccio, che significa cessione ad un’altra persona, anche gratuitamente, ed anche di una dose minima: regalare una “canna” o fornire una “riga” ad un amico senza chiedere soldi è dunque spaccio.
Lo spaccio e la detenzione ai fini di spaccio vanno provati dall’accusa in quanto elementi costitutivi del reato, non potendo farsi carico all’imputato di provare la destinazione a uso personale della sostanza di cui è stato trovato in possesso. Sussiste però per il consumatore il cd. onere di allegazione, cioè l’onere di far presente elementi di discolpa (reddito lecito, qualità di consumatore, ecc.).
La valutazione in ordine alla destinazione della droga (se al fine dell’uso personale – o per cessione a terzi – penalmente rilevante) è effettuata dal giudice.
Per la condanna è sufficiente la prova dello spaccio, ad es. se l’imputato è colto in flagranza mentre cede la droga a terzi oppure c’è un testimone che dichiara di aver ricevuto la sostanza stupefacente.
E’ sbagliato ritenere che nel processo viga il principio: “la mia parola contro la sua“, durante i processi assistiamo ad imputati che si sforzano di proclamare la loro innocenza, durante la deposizione confessano – ignari- elementi che verranno poi utilizzati per la condanna. Il nostro ordinamento non chiede all’imputato di dire la verità se non per le proprie generalità, ma quello che dice può essere utilizzato contro di lui. Quindi nessun giudice si porrà il problema della credibilità di un testimone sconfessato dall’imputato.
In assenza della prova dello spaccio la condanna potrà basarsi su indizi come:
la quantità, maggiore è il peso e maggiore sarà la possibilità che la detenzione sia ai fini di spaccio.
la qualità e la composizione della sostanza, maggiore è la purezza della sostanza stupefacente (percentuale di principio attivo), più si riterrà probabile la detenzione a fini di spaccio.
Il possesso di diverse sostanze, se vengono trovate più sostanze (cocaina e hashish, ma anche marijuana e hashish), è considerato un indizio per la destinazione a terzi (perché la giurisprudenza nega in genere la possibilità di un cd. poliuso).
Possesso di sostanza da taglio, è evidente che se viene trovata anche sostanza da taglio (es. mannite), la destinazione a terzi della sostanza è praticamente provata (il consumatore non taglia mai la sostanza che vuole consumare).
Il reddito del consumatore. Se viene ritrovata sostanza stupefacente nella disponibilità di chi si dichiara consumatore, l’interessato deve poter provare di avere reddito lecito sufficiente per potersi pagare il consumo. Se il consumatore infatti non ha lavoro la giurisprudenza presume lo spaccio, per pagare con il ricavato le dosi che vengono consumate.
Bilancino (disponibilità di attrezzature per la pesatura) o il confezionamento della sostanza, il ritrovamento di un bilancino (anche non di precisione) spesso è ritenuta prova sufficiente per la condanna, così come la presenza di sacchetti di nylon, magari tagliati, o scatoline, sacchettini con la zip, bustine.
Il confezionamento della sostanza in dosi è ritenuto elemento comprovante il fine di spaccio, anche se trovano la sostanza ripartita in diverse “pesature”.
La presenza di soldi contanti è altro indizio (forte) di spaccio, specie se di taglio equivalente al costo di una dose; è importante quindi poter dimostrare la disponibilità economica lecita (buste paga, prelievi dal bancomat, …). La destinazione della droga al fine di spaccio, quindi, è argomentata anche facendo esclusivamente riferimento ad elementi asseritamente “oggettivi univoci e significativi” (anche senza dichiarazioni di terze persone) come il quantitativo della droga sequestrata, il rinvenimento dello strumentario che lo spacciatore tipicamente utilizza per il confezionamento delle dosi (bilancino, etc.), la ripartizione in dosi singole pronte per la distribuzione, le modalità di detenzione della droga.
IL MANDATO DI PERQUISIZIONE
La perquisizione positiva sulla persona comporta quasi sempre anche la successiva perquisizione della macchina e della casa; ai sensi dell’articolo 103 TU Stup. (DPR 309/1990) gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, nel corso di operazioni di polizia per la prevenzione e la repressione del traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, possono procedere in ogni luogo al controllo e all’ispezione dei mezzi di trasporto, dei bagagli e degli effetti personali, anche senza mandato dell’autorità giudiziaria, quando hanno fondato motivo di ritenere che possano essere rinvenute sostanze stupefacenti o psicotrope.
Dell’esito dei controlli e delle ispezioni è redatto processo verbale in appositi moduli, trasmessi entro quarantotto ore al procuratore della Repubblica il quale, se ne ricorrono i presupposti, li convalida entro le successive quarantotto ore. Gli operanti sono peraltro tenuti a rilasciare immediatamente all’interessato copia del verbale di esito dell’atto compiuto (si perde del tempo, ma ne vale la pena per poter dimostrare non tanto l’accanimento, ma la estraneità a qualsiasi ipotesi di spaccio).
INDIZI DI UN “MERO” CONSUMATORE
La consegna spontanea della sostanza stupefacente alla polizia, è ritenuta condotta collaborativa, sarebbe sempre opportuno segnalare e far scrivere sul verbale di perquisizione e sequestro anche il ritrovamento di elementi indicativi di consumo (es. chilum, siringhe o cartina, grinder, o mozziconi di spinelli eventualmente presenti).
Se non viene aggiunto dai pubblici ufficiali, lo si può rilevare personalmente anche aggiungendolo a penna; si può sempre rifiutare di firmare, anche eventualmente indicandone il motivo.
Nel dubbio, comunque, non firmare ciò che non si capisce è sempre consigliabile (“firma qui, qui e qui” non vale come spiegazione).
LA COLTIVAZIONE PER USO PERSONALE
E’ stata pronunciata una sentenza storica dalle Sezioni Unite n. 12348/2020 della Cassazione: “devono … ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.” È stato chiarito che non è reato coltivare qualche piantina di marijuana in casa, con mezzi rudimentali se destinata ad un uso esclusivamente personale.